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la vita di catullo. |
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II.
Certo, come tutta quella serie di doveri e diritti, che costituiscono l’umana personalità, non può altrove esplicarsi che nello stato sociale, così la società non può non essere lo stato naturale e fisiologico dell'arte. La giovinezza degli artisti non assume però in tutti il medesimo aspetto; non presenta i fenomeni istessi.
Vi sono taluni, e son forse i più, che lasciato appena il roseo limitare del loro universo incantato, trovandosi improvvisamente di fronte al mondo reale, non possono vincere un certo subitaneo capriccio di ribrezzo e di paura. Sentono che questa nuda e rigida realtà gela ed isterilisce tutto quello che tocca, tarpa le ali alle più leggiadre ispirazioni, impiomba la fantasia, incallisce il cuore, cinge di spine e d’indifferenza le sorridenti illusioni d’un’anima vergine e delicata; si ritraggono però dentro di sè, come la sensitiva; si fanno della società un deserto; vivono in essa come piante esotiche e malaticce; diventano odiatori degli uomini prima d’averli conosciuti; dispregiano la vita prima d’avere sperimentato un dolore e una gioia reale. A sedici anni ci è spesso in noi qualche cosa di Robinson Crusoè; Werther ed Ortis non furono scritti per nulla. Aggiungete a questo la conoscenza della propria condizione sociale; la necessità spesso di lavorare per guadagnar di che vivere; una più o meno durezza della patria potestà; uno sguardo, il primo e forse il più insignificante, d’una giovinetta qualunque;