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i tempi di catullo. | 19 |
strati, trionfatori1 tutti faceano a gara a imbandir sontuosi banchetti. Le cene private non erano certamente più frugali delle pubbliche; famosa è la risposta di Lucullo al suo maestro di casa: non sapevi che Lucullo dovea cenare con Lucullo?
Alla gola tien dietro la lussuria, la mollezza, l’accidia, ogni vizio più turpe. La via Sacra, i Portici, la via Appia, tutti i passeggi di Roma brulicano di mezzani, di prostitute, di libertini, di gladiatori pronti a trafficare la loro robustezza, di molli e profumati cinedi che sfoggiano i loro anelli e la loro beltà, di senatori che fan l’occhietto ad effeminati seguaci di Venere Aversa, di matrone più dissolute e sfacciate delle loro ancelle; un pubblico convegno di seduzioni, un vero mercato di amori.2Alberghi, taverne, barberie, seggiole, lettighe, offrono asilo stabile od ambulante all’anonima prostituzione dei magnanimi figli di Remo.3
Gli edili chiudono gli occhi; è un gran che se richiedano dalle pubbliche cortigiane la licentia stupri; i censori borbottano e sbraitano inutilmente; la legge tollera e tace; Acherio non dubita asserire, che se l’impudicizia è delitto nei liberi, è necessità negli schiavi, è dovere nei liberti.4
L’arte, crescente fra tali sozzure, non potea non sdrusciarvi il manto, insudiciar l’anima, prostituendo le membra. L’oscenità parve un dovere: si fornicò col