Correa, per la rapita Elena, quanto
Fior di senno e di braccio avean gli Argivi. 115 O fatale e nefanda Ilio, sepolcro
D’Asia a un tempo e d’Europa, Ilio funesta
Che tanti fra le tue ceneri chiudi
Incliti fatti e glorïosi eroi;
Tu desti al fratel mio misera fine, 120 Al mio dolce fratel tolto al mìo core!
O fratello infelice, o lieto raggio
Rapito a noi! Con te giaccion sepolte
L’orbe case paterne, e teco insieme
Le gioie del mio cor tutte perîro, 125 A cui l’amor tuo vivo era alimento.
Nè fra’ patrî sepolcri, a le cognate
Ceneri a canto l’ossa tue composte
Dormono, ma lontan tanto, in estrana
Terra, in lido remoto, entro a la polve, 130 Di tante stragi oscena, Ilio le serra!
Ivi accorrean, sì come è grido, in folla
E d’ogni parte i giovanetti argivi,
E diserto faceano il santo foco
Del domestico lare, onde nel cheto 135 Talamo non gioisse ozi sereni
Paride molle a la sua druda a fianco.
Allor, bella Laodàmia, a te fu svelto
Il dolce sposo, a te più che la vita
Più che l’anima caro. Assorta e spinta 140 Dal vortice del tuo fervido amore
Precipitasti in tal baratro, quale
Fu l’abisso, che apri (dei Greci è il mito)
Appo il Peneo Cillene il mal supposto