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134 | di alcuni traduttori di catullo. |
Non gli si può negare un certo garbo, una tal naturale spigliatezza, quel non so che di elegantemente negletto, che si lascia desiderare in quasi tutte le traduzioni poetiche di Catullo; ma incaponito a tradurre a uso delle dame francesi, e costretto quindi a mutilare, a parafrasare, a sopprimere, per ragion di galanterìa, egli riesce a regalarci un Catullo in guanti paglini, un giovane marchese del tempo della Reggenza. I francesi han questo di singolare: trasformano tutto a propria immagine; credono in buona fede, che il buon Dio abbia creato apposta il mondo per loro; epperò, tenendosi in diritto d’imporre le loro idee, la loro lingua, i loro capricci a chiunque, perfino ai morti, cavano di tomba Omero e gli metton la tuba e la giubba a coda di rondine; chiamano Andromaca sulla ribalta, e per non far torto all’abbigliamento delle loro dame, le mettono il cappellino alla Don Carlos e il goletto alla Medici.
Meno infedele, ma assai meno elegante di questa del Pezay, è l’altra versione in prosa di Heguin de Guerle.1 È fatta senza scrupoli, ed ha il pregio di essere intera; molti passi incerti ed oscuri sono resi con evidenza e interpretati con acume; ma se di frequente c’è la parola, lo spirito di Catullo non c’è quasi mai; è tirata su a via di stenti, e procede fredda, guardinga, misurata, come poco sicura del fatto suo. Gli scolari che non han voglia di far la traduzione da sè, possono andare a copiarne qualche brano, e fare una canzonatura al maestro; ma l’anima inquieta diCa-
- ↑ Cat., Tib. et Prop. trad. de la collection Panckoucke.