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DI ALCUNI TRADUTTORI DI CATULLO.

I.


Bisogna convenire di due cose, dice il Pezay: l’una che gli uomini di mondo sanno raramente il latino; l’altra che Catullo e Tibullo non possono esser tradotti da un pedante. I loro versi sfuggiti al delirio dell’orgia e all’orgia dell’amore, scritti sulla tavola di Manlio, o ispirati nell’alcova di Delia, saranno difficilmente sentiti da un professore delle Quattro Nazioni. Per intender Catullo bisogna aver provato un po’ l’ebbrezza del vino di Tokay, e un po’ i capricci delle donnette eleganti; e un emerito dell’Università si farebbe uno scrupolo di conoscer codeste cose. Si può ciò non ostante conoscere la buona società, le belle donne e il buon vino e fare una cattiva traduzione.1

L’Autore delle Serate elvetiche ci prova una volta di più, che i discorsi preliminari e le prefazioni son fatti a posta per dar dell’ascia in su’ piedi di chi li fa. La sua versione in prosa difatti mostra chiaramente che egli è assai più uomo di spirito che bravo traduttore.

  1. Trad. de Catulle, Tibulle et Gallus, par l’aut. des Soirées helvétiques.
Rapisardi 12