Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
la fortuna dei carmi di catullo | 123 |
poeta potesse ritornar di sotterra, non l’avrebbe senza dubbio riconosciuto.1 Da una nota di Matteo Palmerio scritta al margine d’un codice tutto di sua mano, e del quale s’era servito Andrea Scotto,2 risulta che il libro di Catullo fu scoperto nell’anno 1425.
C’è anche un epigramma d’un tal veronese attribuito da Apostolo Zeno3 a Guarino padre, e dal Burmanno a Guarino figlio, dal quale si rileva che i carmi di Catullo, manoscritti da un Francesco qualunque, furono trovati a Verona. E Scipione Maffei asserisce che in uno degl’inediti sermoni del vescovo Raterio è detto che questi lesse Catullo la prima volta in Verona, e che Guglielmo Pastrengo, amico del Petrarca, l’avea avuto fra le mani nel secolo XIV, e ne cita qua e là qualche verso.4
Quanto a tutti gli altri codici manoscritti possiamo col consenso dei dotti affermare, che sono posteriori al Quattrocento e che gli errori, le lacune, il disordine e le varianti di essi sono in gran parte da attribuire alla lascivia dei frati e all’ignoranza degli amanuensi.5
Il primo ad aver cura di Catullo fu Giovanni Calpurnio. L’edizione che ne fece in Vicenza nel 1481, quantunque modellata su quelle di Venezia, riuscì, con l’aiuto di buoni codici, assai più corretta; ed egli se ne tiene a buon dritto.6