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la fortuna dei carmi di catullo 121


Le condizioni e le circostanze dell’arte latina furono assai diverse e più svantaggiose. Quando essa nacque, la libertà agonizzava: non potea durare che poco; e poco durò.

Giunse al suo massimo splendore con una celerità senza pari: la servitù l’incalzava al sepolcro. E il suo massimo splendore è tutto apparente; quando la forma toccava la perfezione, il suo spirito cominciava a morire: restava come una maschera vuota. Si può vedere in lei ciò che si osserva nella vita di certe donne. Ancora bambina comincia a perdere il pudore per opera di Catullo; doventa splendida cortigiana con Orazio; sfacciata con Tibullo e Properzio; mezzana con Ovidio, che insegna le seduzioni; si ricrede per poco quando è decrepita, e grida con Giovenale alla morale perduta, giusto come quelle vecchie, che, dopo d’averne fatte quante Carlo in Francia, e non avendo più che dare al mondo, alla carne e al demonio, s’aggrappano fedelmente alla corona del santo rosario, si fanno scrupolo perfino d’un doppio senso, e credono che il Signore Iddio sia tanto baggeo da contentarsi dei loro quattro ossi spolpati.


III.


Quando il pensiero cristiano ebbe la feroce soddisfazione di dar l’ultimo colpo alla civiltà pagana, all’arte latina non andò naturalmente pensato: non si odiava soltanto il passato, si voleva perfin cancellare. E quei santi frati del Medio Evo, che taluni, assai più frati di loro, non si fanno a’dì nostri uno scrupolo di

Rapisardi 11