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Annotazioni alla Lettera 186.



(A) Due lettere scrisse la santa Caterina al re Carlo V di Francia, l’una dell’anno 1376, cioè del tempo che la santa era in Avignone, ed è la presente; l’altra del 1379, stando essa in Roma, onde perciò è convenuto cangiar l’ordine, che prima teneano nell’impressioni antiche; nelle quali era posta prima la secouda di tempo. Di queste due lettere così favella Andrea Vittorelli. Gallorum regi Carolo l’sapienti mmcupato, literas scripsit eadem Catharina prudentes, et succi plettas, tjtias magnìs, sed veris laudibtis Massonus proseijuiitus est. Ciò che il Massone dice, si rapporterà nell’aunotazioui alla lettera seguente, di cui singolarmente egli favella.

(B) Venerabile padre. Il titolo di venerabile padre, dato qui dalla santa al re di Francia e quello di venerabile madre, dato altrove alla reina di Napoli, è un segnale di filial riverenza ed timore di suddito a sovrano, titolo ben degno che ogni signore sì rechi a somma gloria e felicità di meritare da’ suoi soggetti.

(C) Egli ha restituite e punite le nostre iniquità sopra il corpo suo. Di queste parole, se io penso dirittamente, questa può essere la sposizione; cioè che le voci restituite e punite, in ragione ili significato premiatisi per lo stesso, acconciando la santa sovente il suo dire alla maniera di favellare della Scrittura, in cui non una sola volta la voce rendere, che vale quanto restituire, togliesi in sentimento di punire. Vagliane di esempio quel testo di Geremia. Et reddis inùf 11 itale/n patt uiti in sinum jiliornm eorutu post eos, che ila Cornelio a Lapide spiegaci. Idest pttnis peccata Patinili in Filiìs. Lo stesso sentimento si ha nel Deuteronomio. Reddens inii/uitatem Pairuin super Eilios. Le quali parole hauno spomione simigliatile da quell’autore.

(D) E non tenete occhio che i vostri offiziali ec. Questa formola di tenere occhio adoperata in altre lettere dalla santa, non prendesi in quel senso che dicesi, tener mente, cioè osservare, ma in sentimento negante, cioè di far vista di non vedere; onde tener occhio, sarà lo stesso che chiuderlo, o pure negarlo, a quella maniera che dicesi tener favella, cioè non favellare ad alcuno. La Belcolore, scrisse il Boccaccio, venne in iscrezio col Sere, e tenegli favella insino a vendemmia.

(E) Purchè potiate pacificare l’anima vostra col fratello vostro. Tre furono i fratelli ilei re Carlo V, cioè dite Luigi duca d’Angiò, Giovanni duca di I3erri e Filippo duca eli Borgogna, nè con veruno d’essi ebbe guerra questo principe. Bene egli continuò e condusse» buon termine la guerra avuta già sin dal suo avolo Filippo VI, e poi dal padre Giovanni II cou Odoardo III d’Inghil-