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238 mente ne viene a tedio e tristizia, quasi cogitando in sè medesimo, e dicendo, meglio t’è di lassare questa operazione che hai cominciata e fatta tanto tempo, ed anco non è venuta in fine, e cerca la pace e la quiete della mente tua. Arditamente allora debbe rispondere l’anima con fame dell’onore di Dio e della salute dell’ anime, e.rifiutare la consolazione propria e dire: Io non voglio schifare, nè fuggire fatica, perocché io non son degno della pace e quiete della mente mia, anco voglio permanere in quello stato che io sono eletto, e virilmente dare l’onore a Dio con mia fatica, e la fatica al prossimo mio. Benché alcuna volta il dimonio, per farci venire a tedio le nostre operazioni, sentendovi la poca pace della mente, gli porrà dinanzi questo, dicendo nella mente sua!

In questo io offendo più che io non merito, e però vorrei volentieri fuggire, non per fatica, ma per non volere offendere. O carissimo padre, nè a voi, nè al dimonio, quando vi mettesse questi pensieri nel. cuore e nella mente, non date luogo, nè credete; ma con allegrezza e con santo ed affocalo desiderio abbracciate le fatiche, e senza alcuno timore servile, e non abbiate timore in.quello d’offendere, perocché l’offesa c’è manifesta nella disordinata e perversa voluntà, perocché quando la voluntà non fusse ordinata in Dio, allora è offesa; che perchè l’aniuia sia privata della consolazione e dello esercizio dell’ officio e de’ molti salmi, e di non dirlo a luogo ed a tempo suo (B)f nè con quella mente pacifica che esso medesimo vorrebbe, non è però perduto il tempo suo, anco è esercitato pure per Dio, unde non ne debbe pigliare pena nella mente sua, e specialmente quando s’affatica ed esercita in servizio della Sposa di Cristo, perocché per qualunque modo e di qualunque cosa noi ci affatichiamo per lei, è di tanto merito ed è tanto piacevole a Dio, che lo’ iut elicilo nostro non è sufficiente a vederlo, nè a poterlo immaginare.

II. Ricordomi, dolcissimo padre, d’una serva di Dio, I