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soltanto il torto di non renderne conto, ma gli è di scusa l’usanza del suo tempo. Un’omissione inesplicabile si riscontra però nella sua edizione. Il capitolo lxxxiii è mutilo piú che della metá, e I’lxxxiv manca, in principio, di un lungo brano, si che non collegano tra di loro; e quindi fu messa al capitolo lxxxiv una rubrica diversa da quella che leggesi nei manoscritti. Ma ciò che rende l’edizione del Gigli d’impossibile lettura, sono le troppe e mal disposte virgole, le quali fanno continuo intoppo, senza riuscire a distrigare i lunghi periodi; i quali appariscono anche piú interminabili a causa della soverchia distanza fra un capoverso e l’altro, per la quale a chi legge non si concede riposo.

Era dunque necessaria una nuova edizione, non solo perché quella del Gigli naturalmente non si trova se non nelle pubbliche biblioteche, ma anche per dare il Libro nella sua vera lezione e con punteggiatura che ne agevolasse la comprensione. Questa nuova edizione, dunque, è stata fedelmente condotta sullo stesso codice di cui si servi Girolamo Gigli, e che trovasi nella Comunale di Siena con la segnatura t. ii. 9. E con vera soddisfazione si può dire che l’autorevole parere del Gigli, che fu prima guida nella scelta, è stato confermato dal confronto di questo ms. con altri, e precisamente con quattro laurenziani, tre riccardiani, due della Nazionale di Firenze e uno della biblioteca Landau, non che la versione latina del Maconi. Infatti questo codice T. 11. 9, solo fra gli altri sopra nominati, serba intatte tutte le ingenuitá delle espressioni, certe incongruenze nei periodi, i pleonasmi e gli idiotismi delle voci e specialmente dei modi che sono propri del parlare dei popolani. Perché Caterina, com’è noto, era di nascita popolana, e, con tutto il suo straordinario ingegno, sapeva appena leggere e meno ancora scrivere; si che le mirabili sue lettere, che il Tommaseo chiamò «monumento di sapienza» furono da lei dettate ai suoi discepolid). E questo libro, poi, fu dettato nelle sue estasi,

(1) Come Caterina imparasse a leggere è raccontato dal beato Raimondo nella Leggenda (cap. xl, 7). Quanto allo scrivere lo accenna la santa da sé, scrivendo al beato Raimondo (lett. 272, ed. Tommaseo) che le fu insegnato in un’estasi. Ciò fu nell’ottobre del 1377, essendo alla ròcca di Tentennano presso la famiglia Salimbeni. Di suo pugno si dicono scritti: i°) l’orazione «O Spirito santo vieni nel mio cuore»: 2 0 ) un biglietto (litterulam) a Stefano Maconi, che finiva cosi: «Sappi, o mio carissimo figliuolo, che questa è la prima lettera che io abbia scritta»; 3») alcune carte del Libro ; 4 0 ) due lettere al beato Raimondo. Tutti questi autografi deploransi come smarriti.