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l’obbedienzia di quella creatura, avendo legittime cagioni che per lo suo difetto egli non si partisse. Ma, se si partisse per suo difetto, non sarebbe senza gravissima colpa: non però obligato a peccato mortale, propriamente, per quello partire. Sai tu quanto ha dairuno all’altro? Quanto da colui che tolle l’altrui, a quello che ha prestato e poi ritolle quello che per amore aveva donato, con intenzione però di non richiederlo, ma carta non ne fa affermativamente. Ma quelli ha donato e trattane la carta nella professione, unde nelle mani del prelato renunzia a ,se medesimo e promette d’osservare obbedienzia e continenzia e povertá volontaria. E il prelato promette a lui, se egli osserva infino alla morte, di darli vita eterna.

Si che in osservanzia, in luogo e in modo, quella è piú perfetta, e questa è meno perfetta: quella è piú sicura, e, cadendo, è piú atto a rilevarsi perché ha piú aiuto; e questa è piú dubbiosa e meno sicura e piú atto, s’egli viene caduto, a voltare il capo a dietro, perché non si sente legato per il voto fatto in professione, come sta il religioso prima che sia professo, che infino alla professione si può partire, ma poi no. Ma il merito, t’ho detto e dico, che egli è dato secondo la misura dell’amore del vero obbediente, acciò che ogniuno, in qualunque stato egli si sia, possa perfettamente avere il merito, avendolo posto solo nell’amore.

Cui chiamo in uno stato e cui in un altro, secondo che ciascuno è atto a ricevare; ma ogniuno s’empie con questa misura detta dell’amore. Se il secolare ama piú che il religioso, piú riceve; e cosi il religioso piú che’l secolare, e cosi tutti gli altri.