Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1928 – BEIC 1786681.djvu/196

quale tu chiaramente m’hai dimostrata la veritá, e acciò ch’io possa vedere due altri inganni de’quali io temo che non ci sieno o possano essere, vorrei, Padre eterno, che, prima che io escisse di questi stati, tu mel dichiarassi.

L’uno si è che, se alcuna volta o a me o ad alcuno altro servo tuo fusse venuto per consiglio di volere servire a te, che dottrina io gli debbo dare. Benché di sopra ,so, dolce Dio eterno, che tu me ne dichiarasti sopra quella parola che tu dicesti : — Io so’ colui che mi diletto di poche parole e di molte operazioni ; — nondimeno, se piace alla tua bontá toccarne alcuna parola ancora, sarammi di grande piacere.

E anco, se alcuna volta, pregando io per le tue creature e singularmente per li servi tuoi, io trovasse, nell’orazione, nell’uno la mente disposta, parendomelo vedere che esso si goda di te; e nell’altro mi paresse che fusse la mente tenebrosa, debbo io, Padre eterno, o posso giudicare l’uno in luce e l’altro in tenebre? O che io vedesse l’uno andare con grande penitenzia e l’altro no : debbo io giudicare che maggiore perfezione abbi colui che fa penitenzia maggiore, che colui che non la fa ? Pregoti che acciò ch’io non sia ingannata dal mio poco vedere, che tu mi dichiari in particulare quello che tu m’hai detto in generale.

La seconda cosa della quale io ti dimando, si è che tu mi dichiari meglio, sopra del segno che tu mi dicesti che riceve l’anima quando è visitata da te, se egli è da te, Dio eterno, o no. Se bene mi ricorda tu mi dicesti, Veritá eterna, che la mente rimaneva in allegrezza e inanimata alla virtú. Vorrei sapere se questa allegrezza può essere con inganno della propria passione spirituale; che, se ci fusse, io m’aterrei solamente al segno della virtú.

Queste sonno quelle cose le quali io t’adimando, acciò che in veritá io possa servire a te e al prossimo mio e non cadere in neuno falso giudicio verso le tue creature e de’servi tuoi, perché mi pare che’l giudicio, cioè il giudicare,, dilonghi l’anima da te: e però non vorrei cadere in questo inconveniente. —