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CAPITOLO CLXI

De la perversitá, miserie e fadighe de lo inobediente. E de’ miserabili fructi che procedono da la inobedienzia.

— E1 contrario fa il miserabile disobbediente, che sta nella navicella de l’ordine con tanta pena a sé e ad altrui, che in questa vita gusta l’arra de l’inferno. Egli sta sempre in tristizia, confusione e stimolo di conscienzia, con dispiacimento de l’ordine e del prelato suo; incomportabile è a se medesimo. Or che è a vedere, figliuola mia, quello che ha presa la chiave de l’obbedienzia de l’ordine con la disobbedienzia, alla quale egli s’è facto schiavo, e la disobbedienzia ha facta donna, con la compagna della inpazienzia, nutricata dalla superbia col proprio piacere. La quale superbia decto è che esce dall’amore proprio di sé. Tucto si rivolle in contrario ad quello che decto t’ho della vera obbedienzia; e come può questo misero stare altro che in pena, che è privato della caritá? Conviengli chinare il capo della volontá sua per forza; e la superbia gli li tiene ritto. Tucte le sue volontá si discordano dalla volontá de l’ordine. Egli li comanda l’obbedienzia, ed egli ama la disobbedienzia; la povertá volontaria, ed egli la fugge, possedendo e desiderando la ricchezza; vuole continenzia e puritá, ed egli inmondizia. Trapassando questi tre voti, figliuola mia, il religioso cade in ruina e in tanti miserabili difecti, che l’aspecto suo non pare religioso, ma uno dimonio incarnato, si come in un altro luogo Io ti narrai piú distesamente. Non lassarò però che alcuna cosa non te ne conti dello inganno loro e del fructo che traggono della disobbedienzia, a comendazione ed exaltazione de l’obbedienzia.

Questo misero è ingannato dal proprio amore, perché l’occhio de l’intellecto suo s’è posto, con fede morta, nel piacere della propria volontá e nelle cose del mondo. Ha saltato il mondo col corpo e rimastovi con l’affecto. E perché gli pare fadiga l’obbedienzia, vuole disobbedire per fuggire fadiga; e egli cade in maxima fadiga, ché pure obbedire gli conviene o per forza