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CAPITOLO CII

Per che modo si debba reprendere el proximo, a ciò che la persona non caggia in falso giudizio.

— Ora actende, carissima figliuola; ed acciò che tu meglio sia dichiarata di quello che m’adimandasti, t’ho decto del lume comune il quale tucti dovete avere in qualunque stato voi séte: ciò dico di coloro che stanno nella caritá comune.

E hocti decto di coloro che sonno nel lume perfecto, el quale lume ti distinsi in due, cioè di coloro che erano levati dal mondo e studiavano di mortificare il corpo loro, e degli altri che in tucto ucidevano la propria volontá, e questi erano quegli perfecti che si notricavano a la mensa del sancto desiderio.

Ora ti favellarò in particulare a te: e, parlando a te, parlarò ed agli altri e satisfarò al tuo desiderio. Io voglio che tre cose singulari tu faccia, acciò che l’ignoranzia non impedisca la tua perfeczione a la quale Io ti chiamo, e acciò che ’l dimonio, col mantello della virtú della caritá del proximo, non notricasse dentro ne l’anima la radice della presumpzione. Però che da questo cadresti ne’falsi giudici, e’quali Io t’ho vetati, parendoti giudicare a dricto e tu giudicaresti a torto andando dietro al tuo vedere. E spesse volte il dimonio ti farebbe vedere molte veritá per conducerti nella bugia. E questo farebbe per farti essere giudice delle menti e delle intenzioni delle creature che hanno in loro ragione, la quale cosa, si come Io ti dixi, solo Io ho a giudicare.

Questa è una di quelle tre cose che Io voglio che tu abbi e servi in te: cioè che tu giudicio non dia alcuno senza modo, ma voglio che il dia col modo. El modo suo è questo: che, se giá Io expressamente, non pure una volta né due ma piú, non manifestasse el difecto del proximo tuo nella mente tua, non il debbi mai dire in particulare, cioè a colui in cui ti paresse vedere il difecto; ma debbi in comune correggere i vizi di chi ti venisse a visitare, e piantare la virtú caritativamente