Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
libro primo. | 57 |
XLI. E s’io parlassi con essi o con altri che fossino d’opinion contraria alla mia, mi sforzarei mostrar loro, quanto le lettere, le quali veramente da Dio son state agli uomini concedute per un supremo dono, siano utili e necessarie alla vita ed alla dignità nostra; nè mi mancheriano esempii di tanti eccellenti capitani antichi, i quali tutti giunsero l’ornamento delle lettere alla virtù dell’arme. Chè, come sapete, Alessandro ebbe in tanta venerazione Omero, che la Iliade sempre si teneva a capo del letto; e non solamente a questi studii, ma alle speculazioni filosofice diede grandissima opera sotto la disciplina d’Aristotele. Alcibiade le buone condizioni sue accrebbe e fece maggiori con le lettere, e con gli ammaestramenti di Socrate. Cesare quanta opera desse ai studii, ancor fanno testimonio quelle cose che da esso divinamente scritte si ritrovano. Scipione Africano dicesi che mai di mano non si levava i libri di Senofonte, dove instituisce sotto ‘l nome di Ciro un perfetto re. Potrei dirvi di Lucullo, di Silla, di Pompeo, di Bruto e di molt’altri Romani e Greci; ma solamente ricordarò che Annibale, tanto eccellente capitano, ma però di natura feroce ed alieno da ogni umanità, infedele e dispregiator degli uomini e degli dei, pur ebbe notizia di lettere e cognizion della lingua greca; e, s’io non erro, parmi aver letto già, che esso un libro pur in lingua greca lasciò da sè composto. Ma questo dire a voi è superfluo, chè ben so io che tutti conoscete quanto s’ingannano i Franzesi pensando che le lettere nuocciano all’arme. Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimolo è la gloria; e chi per guadagno o per altra causa a ciò si move, oltre che mai non fa cosa buona, non merita esser chiamato gentiluomo, ma vilissimo mercatante. E che la vera gloria sia quella che si commenda al sacro tesauro delle lettere, ognun può comprendere, eccetto quegli infelici che gustate non l’hanno. Qual animo è così demesso, timido ed umile, che, leggendo i fatti e le grandezze di Cesare, d’Alessandro, di Scipione, d’Annibale e di tanti altri, non s’infiammi d’un ardentissimo desiderio d’esser simile a quelli, e non posponga questa vita caduca di dui giorni per acquistar quella famosa quasi perpetua, la quale, a dispetto della