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ne, ed altre tai parole corrotte e guaste; perchè così si trovan scritte da qualche antico Toscano ignorante, e perché così dicono oggidì i contadini toscani. La buona consuetudine adunque del parlare credo io che nasca dagli uomini che hanno ingegno, e che con la dottrina ed esperienza s’hanno guadagnato il buon giudicio, e con quello concorrono e consentono ad accettar le parole che lor pajon buone, le quali si conoscono per un certo giudicio naturale, e non per arte o regola alcuna. Non sapete voi, che le figure del parlare, le quai dànno tanta grazia e splendor alla orazione, tutte sono abusioni delle regole grammaticali, ma accettate e confermate dalla usanza, perchè, senza poterne render altra ragione, piaceno, ed al senso proprio dell’orecchia par che portino soavità e dolcezza? E questa credo io che sia la buona consuetudine; della quale così possono essere capaci i Romani, i Napoletani, i Lombardi e gli altri, come i Toscani.

XXXVI. È ben vero, che in ogni lingua alcune cose sono sempre buone: come la facilità, il bell’ordine, l’abondanza, le belle sentenze, le clausole numerose; e, per contrario, l’affettazione e l’altre cose opposite a queste son male. Ma delle parole son alcune che durano buone un tempo, poi s’invecchiano ed in tutto perdono la grazia; altre piglian forza e vengono in prezzo: perchè, come le stagioni dell’anno spogliano de’ fiori e de’ frutti la terra, e poi di nuovo d’altri la rivestono, così il tempo quelle prime parole fa cadere, e l’uso altre di nuovo fa rinascere, e dà lor grazia e dignità, fin che, dall’invidioso morso del tempo a poco a poco consumate, giungono poi esse ancora alla lor morte; perciocchè, al fine, e noi ed ogni nostra cosa è mortale. Considerate che della lingua Osca non avemo più notizia alcuna. La provenzale, che pur mo, si può dir, era celebrata da nobili scrittori, ora dagli abitanti di quel paese non è intesa. Penso io adunque, come ben ha detto il signor Magnifico, che se ’l Petrarca e ’l Boccaccio fossero vivi a questo tempo, non usariano molte parole che vedemo ne’ loro scritti: però non mi par bene che noi quelle imitiamo. Laudo ben sommamente coloro che sanno imitar quello che si dee imitare; nientedimeno non credo io già che sia impossibile scriver