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44 | il cortegiano |
na, come nel resto della Italia, ed in loco di quelle riprese
dell’altre, e fattosi in questo quella mutazion che si fa in
tutte le cose umane: il che è intervenuto sempre ancor
delle altre lingue. Che se quelle prime scritture antiche latine
fossero durate insino ad ora, vederemmo che altramente
parlavano Evandro e Turno e gli altri latini di
que’ tempi, che non fecero poi gli ultimi re romani e i
primi consoli. Eccovi che i versi che cantavano i Salii a
pena erano dai posteri intesi; ma essendo di quel modo dai
primi institutori ordinati, non si mutavano per riverenza
della religione. Così successivamente gli oratori e i poeti andarono
lasciando molte parole usate dai loro antecessori;
chè Antonio, Crasso, Ortensio, Cicerone fuggivano molte di
quelle di Catone, e Virgilio molte d’Ennio; e così fecero gli
altri: che ancor che avessero riverenza all’antiquità, non la
estimavan però tanto, che volessero averle quella obbligazion
che voi volete che ora le abbiam noi; anzi, dove lor parea,
la biasimavano: come Orazio, che dice che i suoi antichi
aveano scioccamente laudato Plauto, e vuol poter acquistare
nuove parole. E Cicerone in molti lochi riprende molti
suoi antecessori; e per biasimare Sergio Galba, afferma che
le orazioni sue aveano dell’antico; e dice che Ennio ancor
sprezzò in alcune cose i suoi antecessori: di modo che, se
noi vorremo imitar gli antichi, non gl’imitaremo. E Virgilio,
che voi dite che imitò Omero, non lo imitò nella lingua.
XXXIII. Io adunque queste parole antiche, quanto per me, fuggirei sempre d’usare, eccetto però che in certi lochi, ed in questi ancor rare volte; e parmi che chi altrimenti le usa, faccia errore, non meno che chi volesse, per imitar gli antichi, nutrirsi ancora di ghiande, essendosi già trovata copia di grano. E perchè voi dite che le parole antiche, solamente con quel splendore d’antichità, adornan tanto ogni subietto, per basso che egli sia, che possono farlo degno di molta laude: io dico, che non solamente di queste parole antiche, ma nè ancor delle buone faccio tanto caso, ch’estimi debbano senza ’l suco delle belle sentenze esser prezzate ragionevolmente; perchè il dividere le sentenze dalle parole è un divider l’anima dal corpo: la qual cosa nè