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na, come nel resto della Italia, ed in loco di quelle riprese dell’altre, e fattosi in questo quella mutazion che si fa in tutte le cose umane: il che è intervenuto sempre ancor delle altre lingue. Che se quelle prime scritture antiche latine fossero durate insino ad ora, vederemmo che altramente parlavano Evandro e Turno e gli altri latini di que’ tempi, che non fecero poi gli ultimi re romani e i primi consoli. Eccovi che i versi che cantavano i Salii a pena erano dai posteri intesi; ma essendo di quel modo dai primi institutori ordinati, non si mutavano per riverenza della religione. Così successivamente gli oratori e i poeti andarono lasciando molte parole usate dai loro antecessori; chè Antonio, Crasso, Ortensio, Cicerone fuggivano molte di quelle di Catone, e Virgilio molte d’Ennio; e così fecero gli altri: che ancor che avessero riverenza all’antiquità, non la estimavan però tanto, che volessero averle quella obbligazion che voi volete che ora le abbiam noi; anzi, dove lor parea, la biasimavano: come Orazio, che dice che i suoi antichi aveano scioccamente laudato Plauto, e vuol poter acquistare nuove parole. E Cicerone in molti lochi riprende molti suoi antecessori; e per biasimare Sergio Galba, afferma che le orazioni sue aveano dell’antico; e dice che Ennio ancor sprezzò in alcune cose i suoi antecessori: di modo che, se noi vorremo imitar gli antichi, non gl’imitaremo. E Virgilio, che voi dite che imitò Omero, non lo imitò nella lingua.

XXXIII. Io adunque queste parole antiche, quanto per me, fuggirei sempre d’usare, eccetto però che in certi lochi, ed in questi ancor rare volte; e parmi che chi altrimenti le usa, faccia errore, non meno che chi volesse, per imitar gli antichi, nutrirsi ancora di ghiande, essendosi già trovata copia di grano. E perchè voi dite che le parole antiche, solamente con quel splendore d’antichità, adornan tanto ogni subietto, per basso che egli sia, che possono farlo degno di molta laude: io dico, che non solamente di queste parole antiche, ma nè ancor delle buone faccio tanto caso, ch’estimi debbano senza ’l suco delle belle sentenze esser prezzate ragionevolmente; perchè il dividere le sentenze dalle parole è un divider l’anima dal corpo: la qual cosa nè