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parmi che n’abbia maggior bisogno, e più spesso gli occorra il servirsi del parlare che dello scrivere. — Rispose il Magnifico: Anzi a Cortegiano tanto eccellente e così perfetto, non è dubio che l’uno e l’altro è necessario a sapere, e che senza queste due condizioni forse tutte l’altre sariano non molto degne di laude: però, se il Conte vorrà satisfare al debito suo, insegnerà al Cortegiano non solamente il parlare, ma ancor il scriver bene. — Allor il Conte, Signor Magnifico, disse, questa impresa non accettarò io già: chè gran sciocchezza saria la mia voler insegnare ad altri quello che io non so; e, quando ancor lo sapessi, pensar di poter fare in così poche parole quello, che con tanto studio e fatica hanno fatto appena uomini dottissimi; ai scritti de’ quali rimetterei il nostro Cortegiano, se pur fossi obligato d’insegnargli a scrivere e parlare. — Disse messer Cesare: Il signor Magnifico intende del parlare e scriver volgare, e non latino; però quelle scritture degli uomini dotti non sono al proposito nostro: ma bisogna che voi diciate circa questo ciò che ne sapete, chè del resto v’averemo per escusato. Io già l’ho detto, rispose il Conte; ma, parlandosi della lingua toscana, forse più saria debito del signor Magnifico che d’alcun altro il darne la sentenza. — Disse il Magnifico: To non posso nè debbo ragionevolmente contradir a chi dice che la lingua toscana sia più bella dell’altre. È ben vero che molte parole si ritrovano nel Petrarca e nel Boccaccio, che or son interlasciate dalla consuetudine d’oggidì; e queste io, per me, non usarei mai, nè parlando nè scrivendo; e credo che essi ancor, se insin a qui vivuti fossero, non le usarebbon più. — Disse allor messer Federico: Anzi le usarebbono; e voi altri signori Toscani dovreste rinovar la vostra lingua, e non lasciarla perire, come fate; chè ormai si può dire che minor notizia se n’abbia in Fiorenza, che in molti altri lochi della Italia. — Rispose allor messer Bernardo: Queste parole che non s’usano più in Fiorenza, sono restate ne’ contadini, e, come corrotte e guaste dalla vecchiezza, sono dai nobili rifiutate.

XXXII. Allora la signora Duchessa, Non usciam, disse, dal primo proposito, e facciam che 'l conte Ludovico insegni