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260 | il cortegiano |
suo signore, ed amargli ed estimar lor proprio ogni bene e
male che gli intervenga, e procurar sopra ogni altra cosa la
felicità loro. Però deve il principe non solamente esser buono,
ma ancora far buoni gli altri; come quel squadro che
adoprano gli architetti, che non solamente in sè è dritto e
giusto, ma ancor indrizza e fa giuste tutte le cose a che
viene accostato. E grandissimo argomento è che ’l principe
sia buono quando i popoli son buoni, perchė la vita del principe
è legge e maestra dei cittadini, e forza è che dai costumi
di quello dipendan tutti gli altri; nè si conviene a chi è
ignorante insegnare, nè a chi è inordinato ordinare, nè a
chi cade rilevare altrui. Però se ’l principe ha da far ben
questi officii, bisogna ch’egli ponga ogni studio e diligenza
per sapere; poi formi dentro a sè stesso ed osservi immutabilmente
in ogni cosa la legge della ragione, non scritta in
carte o in metallo, ma scolpita nell’animo suo proprio, acciò
che gli sia sempre non che familiare ma intrinseca, e
con esso viva come parte di lui; perchè giorno e notte in
ogni loco e tempo lo ammonisca e gli parli dentro al core,
levandogli quelle perturbazioni che sentono gli animi intemperati,
li quali per esser oppressi da un canto quasi da profondissimo
sonno della ignoranza, dall’altro da travaglio che
riceveno dai loro perversi e ciechi desiderii, sono agitati da
furore inquieto, come talor chi dorme da strane ed orribili
visioni.
XXIV. Aggiungendosi poi maggior potenza al mal volere, si v’aggiunge ancora maggior molestia; e quando il principe può ciò che vuole, allor è gran pericolo che non voglia quello che non deve. Però ben disse Biante, che i magistrati dimostrano quali sian gli uomini: chè come i vasi mentre son vòti, benchè abbiano qualche fissura, mal si sono conoscere, ma se liquore dentro vi si mette, subito mostrano da qual banda sia il vizio; così gli animi corrotti e guasti rare volte scoprono i loro difetti, se non quando s’empiono d’autorità; perchè allor non bastano per sopportare il grave peso della potenza, e perció s’abbandonano, e versano da ogni canto le cupidità, la superbia, la iracondia, la insolenza, e quei costumi tirannici che hanno dentro; onde senza