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libro quarto. 247


care non nuoce ad alcuno; nientedimeno, chi non è musico si vergogna nėè osa cantare in presenza d’altrui, o danzar chi non sa, e chi non si tien ben a cavallo di cavalcare; ma dal non sapere governare i popoli nascon tanti mali, morti, destruzioni, incendii, ruine, che si può dir la più mortal peste che si trovi sopra la terra; e pur alcuni principi ignorantissimi dei governi non si vergognano di mettersi a governar, non dirò in presenza di quattro o di sei uomini, ma al cospetto di tulto ’l mondo; perchė il grado loro è posto tanto in alto, che tutti gli occhi ad essi mirano, e però non che i grandi ma i piccolissimi lor difetti sempre sono notati: come si scrive che Cimone era calunniato che amava il vino, Scipione il sonno, Lucullo i convivii. Ma piacesse a Dio, che i principi di questi nostri tempi accompagnassero i peccati loro con tante virtù, con quante accompagnavano quegli antichi; i quali, se ben in qualche cosa erravano, non fuggivano però i ricordi e documenti di chi loro parea bastante a correggere quegli errori, anzi cercavano con ogni instanza di componer la vita sua sotto la norma d’uomini singolari; come Epaminonda di Lisia Pitagorico, Agesilao di Senofonte, Scipione di Panezio, ed infiniti altri. Ma se ad alcuni de’ nostri principi venisse inanti un severo filosofo, o chi si sia, il qual apertamente e senza arte alcuna volesse mostrar loro quella orrida faccia della vera virtù, ed insegnar loro i buoni costumi, e qual vita debba esser quella d’un buon principe, son certo che al primo aspetto lo aborririano come un aspide, o veramente se ne fariano beffe come di cosa vilissima.

IX. Dico adunque che, poi che oggidì i principi son tanto corrotti dalle male consuetudini, e dalla ignoranza e falsa persuasione di sè stessi, e che tanto è difficile il dar loro notizia della verità ed indurgli alla virtù, e che gli uomini con le bugie ed adulazioni e con così viziosi modi cercano d’entrar loro in grazia: il Cortegiano, per mezzo di quelle gentil qualità che date gli hanno il conte Ludovico e messer Federico, può facilmente e deve procurar d’acquistarsi la benivolenza, ed adescar tanto l’animo del suo principe, che si faccia adito libero e sicuro di parlargli d’ogni cosa senza esser molesto; e se egli sară tale come s’è detto,