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libro secondo. | 131 |
pose a giocar di nuovo, e, come l’altra volta avea fatto, così
questa ancora lo ridusse a mal termine: in ultimo, vedendo
la scimia poter dar scaccomatto al gentiluom, con una nuova
malizia volse assicurarsi dì non esser: più battuta; e chetamente,
senza mostrar che fosse suo fatto, pose la man destra
sotto ’l cubito sinistro del gentiluomo, il qual esso per
delicatura riposava sopra un guancialetto di taffettà, e prestamente
levatoglielo, in un medesimo tempo con la man sinistra
gliel diede malto di pedina, e con la destra si pose il
guancialetto in capo, per farsi scudo alle percosse; poi fece
un salto inanti al re allegramente, quasi per testimonio della
vittoria sua. Or vedete se questa scimia era savia, avveduta
e prudente, — Allora messer Cesare Gonzaga, Questa, è forza,
disse, che tra l’altre scimie fosse dottore, e di molta autorità;
e penso che la Republica delle Scimie Indiane la mandasse
in Portogallo per acquistar reputazione in paese incognito,
— Allora ognun rise e della bugia, e della aggiunta
fattagli per messer Cesare.
LVII. Così, seguitando il ragionamento, disse messer Bernardo: Avete adunque inteso delle facezie che sono nell’effetto e parlar continuato, ciò che m’occorre; perciò ora è ben dire di quelle che consistono in un detto solo, ed hanno quella pronta acutezza posta brevemente nella sentenza o nella parola: e siccome in quella prima sorte di parlar festivo s’ha da fuggir, narrando ed imitando, di rassimigliarsi ai buffoni e parasiti, ed a quelli che inducono altrui a ridere per le lor sciocchezze; così in questo breve devesi guardare il Cortegiano di non parer maligno e velenoso, e dir motti ed arguzie solamente per far dispetto e dar nel core; perchè tali uomini spesso per difetto della lingua meritamente hanno castigo in tutto ‘1 corpo.
LVII. Delle facezie adunque pronte, che stanno in un breve detto, quelle sono acultssime, che nascono dalla ambiguità; benchè non sempre inducono a ridere, perchè più presto sono laudate per ingeniose che per ridicole: come pochi di sono disse il nostro messer Annibal Paleotto ad uno che gli proponea un maestro per insegnar grammatica a’ suoi figlioli, e poi che gliel’ebbe laudato per molto dotto,