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128 il cortegiano


esausti di denari; e parlandosi un giorno in consiglio del modo di trovarne per i bisogni che occorreano, dopo l’essersi proposto molti partiti, disse un cittadino de’ più antichi: Io ho pensato dui modi, per li quali senza molto impazzo presto potrem trovar buona somma di denari; e di questi l’uno è, che noi, perchè non avemo le più vive intrate che le gabelle delle porte di Firenze, secondo che v’abbiam undeci porte, subito ve ne facciam far undeci altre, e così raddoppiaremo quella entrata. L’altro modo è, che si dia ordine che subito in Pistoja e Prato s’aprino le zecche, nè più nè meno come in Firenze, e quivi non si faccia altro, giorno e notte, che batter denari, e tutti siano ducati d’oro; e questo partito, secondo me, è più breve, e ancor di minor spesa.

LIII. Risesi molto del sottil avvedimento di questo cittadino; e, racchetato il riso, disse la signora Emilia: Comportarete voi, messer Bernardo, che messer Pietro burli così i Fiorentini, senza farne vendetta? — Rispose, pur ridendo, messer Bernardo: Io gli perdono questa ingiuria, perchè s’egli m’ha fatto dispiacere in burlar i Fiorentini, hammi compiaciuto in obedir voi, il che io ancor farei sempre. Disse allor messer Cesare: Bella grosseria udi’ dir io da un Bresciano, il quale essendo stato quest’anno a Venezia alla festa dell’Ascensione, in presenza mia narrava a certi suoi compagni le belle cose che v’avea vedute; e quante mercanzie, e quanti argenti, speziarie, panni e drappi v’erano; poi la Signoria con gran pompa esser uscita a sposar il mare in Bucentoro, sopra il quale erano tanti gentiluomini ben vestiti, tanti suoni e canti, che parea un paradiso; e dimandandogli un di que’ suoi compagni, che sorte di musica più gli era piaciuta di quelle che avea udite, disse: Tutte eran buone; pur tra l’altre io vidi un sonar con certa tromba strana, che ad ogni tratto se ne ficcava in gola più di dui palmi, e poi subito la cavava, e di nuovo la reficcava; che non vedeste mai la più gran maraviglia. — Risero allora tutti, conoscendo il pazzo pensier di colui, che s’avea imaginato che quel sonatore si ficcasse nella gola quella parte del trombone, che rientrando si nasconde. —