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ser diligentemente considerato, e chi sia quello che si morde; perchè non s’induce riso col dileggiar un misero e calamitoso, nè ancora un ribaldo e scelerato publico: perchè questi par che meritino maggior castigo che ’l esser burlati; e gli animi umani non sono inclinati a beffar i miseri, eccetto se quei tali nella sua infelicità non si vantassero, e fossero superbi e prosuntuosi. Deesi ancora aver rispetto a quei che sono universalmente grati ed amati da ognuno e potenti, perchè talor col dileggiar questi poria l’uom acquistarsi inimicizie pericolose. Però conveniente cosa è beffare e ridersi dei vizii collocati in persone nè misere tanto che movano compassione, nè tanto scelerate che paja che meritino esser condennate a pena capitale, nè tanto grandi che un loro piccol sdegno possa far gran danno.

XLVII. Avete ancor a sapere, che dai lochi donde si cavano motti da ridere, si posson medesimamente cavare sentenze gravi, per laudare e per biasimare, e talor con le medesime parole: come, per laudar un uomo liberale, che metta la roba sua in commune con gli amici, suolsi dire che ciò ch’egli ha non è suo; il medesimo si può dir per biasimo d’uno che abbia rubato, o per altre male arti acquistato quel che tigne. Dicesi ancor: Colei è una donna d’assai, — volendola laudar di prudenza e bontà; il medesimo poria dir chi volesse biasimarla, accennando che fosse donna di molti. Ma più spesso occorre servirsi dei medesimi lochi a questo proposito, che delle medesime parole: come a questi dì, stando a messa in una chiesa tre cavalieri ed una signora, alla quale serviva d’amore uno dei tre, comparve un povero mendico, e postosi avanti alla signora, cominciolle a domandare elimosina; e così con molta importunità e voce lamentevole gemendo replicò più volte la sua domanda: pur con tutto questo, essa non gli diede mai elimosina, nè ancor gliela negò con’ fargli segno che s’andasse con Dio, ma stette sempre sopra di sè, come se pensasse in altro. Disse allor il cavalier inamorato a’ dui compagni: Vedete ciò ch’io posso sperare dalla mia signora, che è tanto crudele, che non solamente non dà elimosina a quel poveretto ignudo morto di fame, che con tanta passion e tante volte a lei la domanda,