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libro secondo. 97


s’hanno, è forza patirgli tali quali sono; perchè infiniti rispetti astringono chi è gentiluomo, poi che ha cominciato a servire ad un patrone, a non lasciarlo; ma la disgrazia consiste nel principio: e sono i Cortegiani in questo caso alla condizion di que’ malavventurati uccelli, che nascono in trista valle. — A me pare, disse messer Federico, che ’l debito debba valer più che tutti i rispetti; e pur che un gentiluomo non lasci il patrone quando fosse in su la guerra o in qualche avversità, di sorte che si potesse credere che ciò facesse per secondar la fortuna, o per parergli che gli mancasse quel mezzo del qual potesse trarre utilità, da ogni altro tempo credo che possa con ragion e debba levarsi da quella servitù, che tra i buoni sia per dargli vergogna; perchè ognun prosume che chi serve ai buoni sia buono, e chi serve ai mali sia malo.

XXIII. Vorrei, disse allor il signor Ludovico Pio, che voi mi chiariste un dubio ch’io ho nella mente; il qual’è, se un gentiluomo, mentre che serve ad un principe, è obligato ad ubedirgli in tutte le cose che gli comanda, ancor che fossero disoneste e vituperose. — In cose disoneste non siamo noi obligati ad ubedire a persona alcuna, — rispose messer Federico. E come, replicò il signor Ludovico, s’io starò al servizio d’un principe il qual mi tratti bene, e si confidi ch’io debba far per lui ciò che far si può, comandandomi ch’io vada ad ammazzare un uomo, o far qualsivoglia altra cosa, debbo io rifiutar di farla? — Voi dovete, rispose messer Federico, ubedire al signor vostro in tutte le cose che a lui sono utili ed onorevoli, non in quelle che gli sono di danno e di vergogna: però se esso vi comandasse che faceste un tradimento, non solamente non sete obligato a farlo, ma sete obligato a non farlo, e per voi stesso, e per non esser ministro della vergogna del signor vostro. Vero è che molte cose pajono al primo aspetto buone che sono male, e molte pajono male e pur son buone. Però è licito talor per servizio de’ suoi signori ammazzare non un uomo ma diece milia, e far molte altre cose, le quali, a chi non le considerasse come si dee, pareriano male, e pur non sono. — Rispose allor il signor Gaspar Pallavicino: Deh, per vostra fè,