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cose dei nostri tempi o di quelli a noi più vicini estimando gli usi del tempo del Castiglione, e dell’opera traendo giudizio dal solo titolo, credesse raccogliersi in questo libro ridotte ad arte le vanità o nequizie che troppo spesso infettano le corti. Lo stesso universale consenso, con che fino dai tempi dell’Autore quest’opera fu ricercata e tenuta in sommo pregio dentro e fuori d’Italia, dimostra come, sebbene col titolo e con la scelta degli interlocutori il Castiglione intendesse a pagare alla corte di Urbino un tributo di gratitudine e di lode, pure in realtà nel suo Dialogo non tanto espresse l’idea di un perfetto Cortegiano, quanto sodisfece ad un più vero ed universale bisogno. Il Dialogo del Cortegiano del Castiglione difatti nella massima sua parte altro non è, che un trattato di morale e di bel costume, nel quale con fine giudizio e bello stile si espone, secondo i consigli della ragione e della esperienza, di quali doti da natura e dall’arte debba essere fornito chi voglia procacciarsi la stima e l’affetto delle persone che lo circondano; soltanto in una parte del IV Libro trattandosi dei doveri del Cortegiano come tale, ed insieme di quelli del principe.

Il libro incomincia con un elogio di Federico da Montefeltro e del suo figliolo Guidubaldo duchi di Urbino, e di varii fra gli uomini insigni che praticavano in quella corte. Finge poscia l’Autore proposto da Federico Fregoso e scelto ad argomento di conversazione, il formare con parole un perfetto Cortegiano; onde si dimostrasse, «che in tutta Italia forse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri così singolari, ed, oltre alla principal profession della cavalleria, così eccellenti in diverse cose,» come allora si trovavano alla corte di Urbino. Il Conte Ludovico da Canossa, al quale ne fu dato l’incarico, descrive le qualità di corpo, d’animo e di fortuna, che o per sè stesse, o nella opinione altrui, valgono ad aggiunger pregio, o siano esse dono di natura, od opera dello studio e dell’arte, come scienza di lettere, cognizione di va-