e le scoperte geometriche non erano conosciute, né avute in conto che da sì poco numero di persone, da non trarne pure un compenso; di che ebbe a richiamarsi della sua celebrità. Siccome desiderava fortemente le dolcezze di una vita oscura, così usava sovente di dire: Qui bene latuit, bene vixit. Nell’anno 1654 il Cardinale Mazarino gli fece dare una pensione di ben tre mila lire. L’anno seguente si condusse in Francia, la quale fu sempre innocente delle ingiuste guerre che altri gli avea rotto, ed ivi fu accolto con gioia, e venne onorato di un rescritto in cui, dopo molte parole che lo levavano a cielo, gli si concedeva ragguardevole pensione; ma egli, fatte quelle spese che per cotali onorificenze si dovevano, non ne usò punto; di che solea dire: «Non mai mi venne fatto di pagare a sì alto prezzo una carta!

In Francia non tenne lunga dimora; «Io conosco, scriveva, che mi volevano in Francia quasi come i grandi signori vogliono avere nel loro serraglio un elefante, un leone o tutt’altro animale non meno raro». Ma sì fatte parole teneano dello scherzo anzi che no, poichè tutti l’aveano in grande venerazione e la novità delle ipotesi sue, la grandezza e l’ardimento de’ pensamenti, la chiarezza delle sue idee aveano attirato l’attenzione dei più sublimi e liberi spiriti del secolo di Luigi XVI. Bossuet, Fénélon, La Fontaine, Malebranche e l’Oratoire, Pascal e Port Royal erano lieti di tenere le sue dottrine, o almeno i suoi metodi.

Ritornato nella sua dolce solitudine d’Egmont il nostro filosofo si tenea libero di ogni altra persecuzione; ma egli non fu vero. Alquanti teologi riformati di Leida lo tormentarono sì fieramente, che gli fecero tornar grave la sua celebrità. Faceva già di molti anni che Cristina di Svezia confortava Cartesio a venire ne’ suoi stati, quand’egli si recò a farla contenta di sè stesso, e, lasciandosi addietro un luogo che mal pativa ogni maniera di tolleranza, si dispose a sostenere il rigido clima della Svezia. La Regina lo accolse con grandissima stima, di che allibirono

tutti i persecutori del filosofo, ma conoscendo com’ egli non si sarebbe mai acconciato agli obblighi dei cortigiani, si contentò di averlo a sè un’ ora del giorno per essere istruita su quello che più le piaceva. Il rigoroso inverno, il doversi ogni mattina levare alle cinque per andare alla Regina, fu per Cartesio, uomo cagionevole ed uso al riposo ed al sonno, sì dura cosa da non poterla portare: per che venne preso da forte malattia di petto, cui essendone la Regina cagione, la tenne celata ai medici di colà, ai quali diceva: «Non siate larghi del sangue francese». Nulla di meno nell’ottavo giorno si lasciò levar sangue, ma tutto allora era niente, tal era l’infiammazione, che ogni rimedio tornò scarso. Non ancora avea tocco il cinquantesimo quarto anno dell’età sua, quando il giorno undecimo di febbraio 1650 infra le braccia di Chanut ambasciatore francese, passò dalla presente vita.

Cristina volle seppellirlo allato ai re di Svezia, ma l’ambasciatore di Francia, per motivi di religione, chiese ed ottenne che fosse messo in un cimitero di Cattolici. Le ceneri di chi per tanto tempo avea viaggiato, non trovarono pure riposo; chè in capo a 16 anni vennero trasportate in Francia, e con solennità deposte nella chiesa di santa Genevieffa di Parigi, e nel 1793 trasmutate al museo degli Agostiniani, e finalmente nel 1819 poste in una cappella di santo Stefano del Monte, ove sono ancora.

Cartesio non tenne mai quel sembiante tra superbo e maligno, che usavano di quei giorni i dotti: virtù rara assai; ma avea del militare, del civile, e ad un’ora stessa del filosofo. Egli dolce, umano, compiacente con ogni maniera di persone: e di lui trovasi scritto che un suo servo volendogli rendere le debite grazie di un servigio ricevuto, nol sostenne punto; anzi gli ruppe le parole dicendogli, che tutti uomini erano uguali, e che soddisfaceva ad un suo debito. Dei molti nemici ch’egli ebbe non si diede cura di vendicarsi, altrochè coll’averli a vile; e costumava di andar dicendo, che quando veniva offeso