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Castelvetro — Opposizion X

«Galli interi». Motto poco degno e contenente disonestá.

Predella

Amo verecundiam : ma non giá questa vostra, la quale è superstizione e curiositá piu tosto che buona vergogna. Percioché la natura della buona è di chiudere gli occhi e le orecchie alle cose vergognose, ancora che siano scoperte, e la vostra le va cercando, e se le imagina, quando sono anco velate. Il velo si dá loro non perché non s’intendano, ma perché non offendano a sentirle e vederle ignude: ed al vergognoso basta che gli si mettano innanzi con rispetto, e per modo che le possa dissimulare; ma non è per questo che non le debba conoscere; ché ciò sarebbe impedirgli la intelligenza, e non tòrgli la offensione; e la notizia e anco la - descrizione delle cose triste e delle brutte è cosi necessaria al mondo, come quella delle belle e delle buone. Ora fino a Giucca sa, che la metafora non si deve tirar dalle cose disoneste, per descriver Poneste; ma non è per questo che non s’abbia a pigliar dalle piú oneste che si può, per descrivere le disoneste, le quali non fu mai che non si scrivessero. Se si dice: «Morte Africani castratavi rempublicam», «Glancia curiae stercus», sono metafore viziose, perché si pigliano da cose disoneste, per descrizion delle oneste. Ma dicendosi «Galli interi», non è viziosa, perché la traslazion si fa dalla piú onesta cosa che si può. E, per non parlarne a caso, come fate voi, essaminiamo un poco questo loco, secondo che ne scrivono quei gran valentuomini che n’hanno segnatamente disputato. Marco Tullio, secondo la dottrina degli stoici, vuol che l’onestá e la disonestá del parlare consista o nella cosa o nella parola, «et nihil esse tertium». Aristotile ci vuole questo terzo, e contra Brisone pruova che una medesima cosa si può dire piú onestamente con un vocabolo che con un altro. Attaccatevi a qual volete