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7ion idem ius. Quod impune possunt poètae lineas transilire» ; se Marco Tullio dice in persona di Antonio: «Poètas omnino quasi alia quadam lingua locutos, ?ion conor attingere»; se Quintiliano si duole che in questa parte «iniqui iudices adversus nos sumus, ídeoque paupertate sermonis laboramus», se loda Orazio che in ciò sia stato «feliciter audax» se dice universalmente: «audendum»; in somma, se tutti quelli che insegnano ne danno precetti, e tutti quelli che compongono li mettono in opera; perché voi solo non l’approvate, e solo al Caro non è lecito?

. Quid autem?

Caecilio Plautoque dabit romanus ademptum Vergilio Varioque?

E perché non potrebbe dire anch’egli:

. Ego cur adquirere panca

si possum, invideor? cum lingua Catonis et Enni sermonem patrium ditaverit, et nova semper nomina protulerit?

Certo io non so che possiate dir altro se non che la libertá di farlo è commune a tutti; ma che questi tutti s’intendono di quelli che lo sanno fare, ricercandosi che questa licenza sia, secondo l’altro precetto,

. Sumpta pudenter ,

e che chi la maneggia avertisela d’essere, come dice il medesimo:

In ver bis... tennis cautusque serendis.

E questo è vero. E quando ne voleste anco inferire che ’l Caro sia uno di quelli che in ciò non abbia tanto di accorgimento né di cautela che basti, egli medesimo, per sua modestia, vi concederá che voi abbiate questa openione di lui ; e voi sarete contento che egli ne possa avere un’altra di voi, e che ’l mondo ancor esso giudichi a suo modo d’ambedue. Ma quando questa