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perché egli l’avesse per parole non mai udite; conciofossecosaché al suo tempo fossero state usate forse tutte, ma senza dubbio la piú parte, dagli scrittori; ma per altra cagione, sia qual si voglia, che lo movesse a lasciarle da parte. Né parimente «ambo», parlandosi di due feminini, senza compagnia di sostantivo, manifesta e non sotto’ntesa. Né «ancor essa», veggendo noi che l’uso nobile della lingua non riceve «esso»con sostantivo manifesto, se non davanti; come, per cagione d’essempio: «Il Petrarca fa delle rime care, ed esso Caro ne fa ancora». Ma non si può dir cosi: «Il Petrarca fa delle rime care, ed il Caro esso ne fa ancora». E per consequente ancora, non si può dire: «Il Petrarca fa delle rime care, ed il Caro ne fa ancor esso». Né «madre ancor essa».

Né userebbe «suo merto e tuo valore», senza «per»: non trovandosi la perdita di «per», se non davanti a tre nomi, per quanto io mi ricordo aver letto; i quali sono: «tempo», «grazia», «mercé» o «mercede», cosi :«E di notte tempo, con iscale ed altri ingegni, entrò nella cittá di Cortona». «Le sue cose, degli iddíi grazia, tutte prosperamente passavano». «La mercé di Dio e di questa gentildonna». «Mercé di quel signore». «La buona mercé di Dio, e non la sua». «La Dio mercé»; «la vostra mercé»; «la tua mercede»; «sua mercé»; «tua mercé». Né userebbe «tarpato», essendo parola plebea, né mai forse ricevuta da altre scritture che da quelle d’Angelo Poliziano.

Appresso, che ’l Petrarca non averebbe invitate le muse con cosi fatte parole: «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro, care muse». Percioché egli non suole (quantunque prenda le ’nsegne delle famiglie o delle signorie per gli uomini delle famiglie e delle signorie) attribuire cose sconvenevoli alla lor natura; come:

Orsi, lupi, leoni, aquile e serpi ad una gran marmorea colonna fanno noia sovente, ed a sé danno.

L’orsa rabbiosa, per gli orsacchi suoi, che, trovando di maggio aspra pastura, rode sé dentro, e i denti e l’unghie indura.