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Procuratore. Che Mirandola? Il Mirandola è un pazzo; e quello inventario è stato un arcigogolo degli avversari per intorbidarci il giudicio di questa sera. Ma, con tutto che abbiamo la sentenza, questa bestia non vi si spiccherá mai da torno, se non gli facciamo qualche stratagema; e giá l’ho pensato, poiché so che l’umor suo pecca in gioie e in spiriti. Vedetelo lá, che viene alla vostra volta tutto infuriato? Avete qualche vetro o qualche petraccia da mostrarli?

Battista. Ecco qui questo anelaccio.

Procuratore. Oh! questo è il caso: tenete a voi e lassate dire a me. Voi secondatemi con le parole.

Mirandola. Che sentenza! che sentenza! Sentenziate a vostro modo, ché le mie gioie voglio io per me. Se non, al corpo della crucciata, che vi voglio far mettere tutti due in uno strettoio, e cavarne la quinta essenza del sudiciume.

Procuratore. Mirandola, vien’ qua. Voglio che accordiamo questa cosa.

Mirandola. Datemi le mie gioie.

Procuratore. Oh! come, se non l’hanno?

Mirandola. Datemi danari.

Procuratore. Manco.

Mirandola. O che accordo volete voi fare?

Procuratore. Darvi in cambio altre gioie, o di tanto valore o di maggior virtú. Vuoi tu altro, ché ti farò dare l’elitropia di Calandrino?

Mirandola. Che Calandrino! A pena lo farei per l’anello d’Angelica. >

Procuratore. E questo ancora hanno.

Mirandola. Quello da ire invisibile?

Procuratore. Quello.

Mirandola. Oh, io gli veggo pure!

Procuratore. Perché non l’hanno in bocca, ben sai.

Mirandola. Se mi date quello, son contento.

Battista. Non ne semo contenti noi.

Procuratore. Mostrategliene, di grazia.

Giovanni. Eccolo.