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mingherlino, ed aveva più cuore che polso, non si può credere quante ne prese. Il suo cranio era una cosa incredibile! Le cicatrici e le tacche una toccava l’altra. Alla fine, non potendo più soffrire questi Oblati, che per tutta la vita non potè più ammettere all’amnistia, un giorno scappò calandosi da un muro d’accordo con un compagno, e non si seppe più nuove di loro per un pezzo, finchè li ripescarono a Magenta.»
Chiuderemo i pochi cenni d’Azeglio, che la morte rese incompiuti, con quanto espone il Cantù.
«Noi soli potremmo dire quanto al Grossi convenisse quel titolo che sempre più si rende raro, il titolo di buono. Buono nelle cure di padre e di marito; buono cogli amici, che, tali divenuti una volta, il furono sempre; buono coi contadini, che ripetevano: «Non troveremo più un tal padrone;» fino i concittadini, ultimi a riconoscerne il merito, parevano dimenticare il bello scrittore, per dire com’egli neppur dagli amici si lasciò trascinare in brighe e consorterie.
«Allegro, compagnevole e all’occorrenza riflessivo e confortante, sereno in quelle procelle che abbuiano lo sguardo di molti, semplice di gusti, con eguale interesse s’applicava ad una partita di caccia, o a correggere il dovere dei suoi bambini, o alla cura dei bachi da seta, alla lunga conversazione de’ suoi amici, all’assiduità della casa, dalla quale se si staccava un giorno parevagli un secolo, tanti erano gli