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tato per impeto di natura alla compassione, assaporava le più segrete delizie di questo divino sentimento anche nelle finzioni dell’arte, e togliendosi spesso cogli occhi bagnati di lagrime dalla lettura dell’Eloisa di Rousseau, o della Delfina di madama di Staël, metteva mano ad una strofa del Marchionn e della Nomina del Cappellân.

La breve vita di questo nostro poeta fu travagliata da dolori di podagra. Ne ebbe un primo insulto a diciassette anni, e continuò almeno una volta ogni anno ad esserne tormentato fieramente sino agli ultimi tempi del viver suo.

«Dopo una dolorosa malattia, che si credette prodotta dall’umore gottoso ch’erasi gettato sugli intestini, morì rassegnato e confidente in Dio la mattina del 5 gennajo 1821. Una folla di dolenti assistette alle sue esequie, e lo accompagnò al sepolcro.»

Così Tomaso Grossi scriveva di colui che ei soleva chiamare il suo migliore amico, di cui fu ammiratore ed emulo, sì che talvolta le sue poesie andarono confuse con quelle del sommo

    blichiamo, si scorgerà meglio la verità di questa nostra asserzione.
    Ecco i quattro versi:

    Religïon santa di mee vicc de cà.
    Che in mezz ai tribuleri di passion
    No te fet olter che tiratt in là
    In fond del cœur, scrusciada in d’on canton...

    Che verità, che delicatezza in questi ultimi due versi!