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Una breve storia personale del software libero 29

grammatore usa un linguaggio di programmazione, che grosso modo sembra inglese. Righe di codice, a-capo, commenti, parentesi di ogni tipo. Ma chi sa programmare, sa anche leggere e mettere le mani su quella roba lì. Che si chiama – appunto – “codice sorgente”, o in dizione inglese “source code”.

Tre protezioni su un unico oggetto

Il codice sorgente va molto bene per gli umani. Sembra un testo. Sembra tanto un testo, che quando ci si chiese quale forma di protezione il software dovesse avere venne naturale pensare al copyright come se fosse un’opera letteraria. E copyright fu. Prima protezione.

Ma il codice sorgente non va bene affatto per le macchine. I computer vogliono le istruzioni in maniera più compatta, serve un “traduttore” che si occupi di interpretare il codice sorgente, controlli che tutto quello che serve per dare le istruzioni ci sia, traduca il tutto in un linguaggio direttamente eseguibile sul computer, metta assieme tutti i pezzi. Questo procedimento si chiama “compilazione” e il risultato è chiamato “codice macchina” o “codice eseguibile” o “codice oggetto”. Risalire al codice sorgente dal codice oggetto è estremamente più difficile. In un certo senso, il codice oggetto è criptato, segreto.

E segreto fu. Il segreto viene tutelato da apposite norme che impediscono di cercare di risalire al codice sorgente. Dunque, questa è una seconda protezione sul software, in aggiunta al copyright.

Intanto, una particolare setta di avvocati chiamati “IP Lawyers”, i quali passano il giorno e la notte a inventarsi nuove protezioni, si dissero “ma perché se