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126 Open source, software libero e altre libertà

come ad esempio i dati delle imprese conservati dal Registro delle imprese, oppure gli indirizzi di posta elettronica certificata (PEC) utilizzati come domicilio elettronico da imprese e professionisti. Esistono pure direttive europee, come la direttiva PSI1 (Public Sector Information), che impone condizioni di accesso paritario e pubblico, esteso all’utilizzo commerciale, di un esteso insieme di dati pubblici. Esiste poi la normativa interna sulla cosiddetta “trasparenza”.

In molti casi, dunque, la pubblica amministrazione non è arbitra di decidere il “se” rendere disponibili a terzi alcuni set di dati. Può però essere arbitra di stabilire il “come”? In senso assoluto no. La stessa direttiva PSI pone alcuni paletti e requisiti (tendenziale gratuità o rimborso del costo marginale di diffusione, non discriminazione, divieto di accordi esclusivi). Inoltre vale nel nostro paese il principio “open by default”, ovvero, qualora un dataset è pubblicato, e non è espressa una licenza, si deve presumere che tali dati sono liberi per ogni utilizzo, compreso quello commerciale. Si tratta dell’art. 522 del Codice dell’Amministrazione Digitale, “CAD”, che fa riferimento, per la definizione di dato aperto, alla lettera l-ter), dell’art. 1 comma 1 del CAD, il quale tra l’altro impone che i dati aperti siano offerti in “formato disaggregato”.

La scelta del “come” pubblicare: la licenza

Abbiamo detto sopra che i dati sono “protetti” in modo simile al copyright, ma non è copyright. Dunque si tratta di una forma di privativa legata al rile-


  1. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/european-legislation-reuse-public-sector-information.
  2. http://www.agid.gov.it/cad/accesso-telematico-riutilizzo-dati-pubbliche-amministrazioni.