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pensava a dargli il posto dovuto? La sua gloria, ahimè, non varcava i margini della Compagnia, talvolta del Battaglione: o era sanzionata ufficialmente in dieci righe sul Bollettino delle ricompense; e non se ne discorreva più.

Quante volte, sui monti del nostro martirio, marciando in fila indiana per le mulattiere favolose, curvi sotto il peso di un cavallo di frisia o di un graticcio, stanchi, sudati, laceri e sporchi, coi chiodi delle scarpe che penetravano nelle carni e le scarpe che affondavano nel fango, quante volte noi avremmo gettato volontieri il nostro carico per correre incontro a un pericolo, agili, nudi, scapigliati, una lama tra i denti e una bomba nel pugno?

Quante volte, nei periodi del così detto « riposo » nelle retrovie, spossati e inebetiti da una lunga marcia con zaino affardellato, giberne, lucile e tascapane, sospiravamo un incontro col nemico, un allarme che ci galvanizzasse, un odore di lotta che ci permettesse di disfarci del fardello gravissimo che affratellava le nostre spalle e quelle dei muli?

Le fiamme, io le vidi la prima volta alla Sella di Dol, sul S. Gabriele, una notte del settembre 1917.

Fino a quel momento se ne aveva una vaga


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