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viste in combattimento, nei campi d’istruzione, nelle marce, in città, dovunque.
Non c’è orgoglio più grande, più completo, più inebriante per un italiano combattente: essere stato Ardito. Non c’è gloria d’ingegno e di opere che equivalga quella di avere assaltato gli austriaci col pugnale e i petardi. Non c’è coraggio che sia paragonabile a quello di essere penetrato con un compagno o due in una caverna, nido di mitragliatrici, e di avere sparso il terrore col lanciafiamme.
C’è proprio la graduatoria del coraggio. Non esiste un tipo-unico di coraggio. Gli Arditi sono sullo scalino più alto di questa graduatoria. Il coraggio degli Arditi non è quello di tutti gli altri. Sembrerà paradossale, ma è così. È un fenomeno di selezione, un fenomeno essenzialmente aristocratico.
Volontarismo. Sdegno del tran-tran mediocre, in cui non si rischia nè si guadagna troppo. Passione per l’emozione, per il pericolo, per la lotta. Personalità, iniziativa, fantasia, accortezza di animale predace. Spirito d’avventura e spirito di corpo. Guasconismo di fatti più che di parole. Romanticismo di uno sfondo nerissimo, sul quale guizzano muscolature da acrobata. Intel-
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