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che meglio si adattavano al tipo di guerra degli Arditi. Li esercitava al corpo a corpo, così: un soldato teneva un fucile orizzontale, stretto nei due pugni; un altro doveva cercare di strapparglielo di mano. La lotta si accendeva rabbiosa, quando, all’Alt! dell’istruttore, essi dovevano fermarsi di scatto e restare sull’attenti. Violenza disciplinata.
La scherma di pugnale fu pure iniziata allora. Ogni uomo aveva davanti a sè un corpo qualunque da colpire: una balla di paglia o un sacco di stracci in piedi. Contro questo bersaglio esso si scagliava col suo pugnale, e a volte la foga e l’ardore erano tali che l’uomo aveva gli occhi iniettati di sangue e finiva per considerare davvero come un nemico il malcapitato bersaglio.
Una scuola di coraggio curiosissima, che ricorda la leggenda di Guglielmo Tell, consisteva nel mettere un soldato immobile sull’attenti, e nel fargli sfiorare il capo da una specie di pendolo formato da una grossa palla di piombo, che veniva lanciata dall’istruttore e che gli portava via il berretto. Colui che, vedendosi scaraventare contro la fronte quella massa metallica minacciosa, riusciva a non muoversi o piegarsi, mostrava di avere un fegato indiscutibile.
Anche il salto in corsa era fatto con criterio
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