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S’intende che non voglio rifarmi nè ai Veliti romani, truppe leggiere d’assalto, nè alla Compagnia della Morte della battaglia di Legnano, contro la quale l’aquila dei Barbarossa spuntò i suoi artigli di grottesco animale nordico. No. È roba troppo lontana, troppo diversa da noi.
In questa stessa guerra, un anno prima che fossero create le Fiamme, un ufficiale di spirito garibaldino, di grande fegato e fascino personale, e di profondo fiuto psicologico, il capitano Baseggio, mentre il nemico nella primavera del 1916 scendeva baldanzosamente di monte in monte verso la pianura maliosa del vicentino, mentre i nostri reggimenti accorrevano a ricacciarlo e cozzavano disperatamente contro la marea straripante, pensò di organizzare un’azione staccata di volontari coi quali pungere, irritare senza tregua i fianchi dell’invasore, e raccolse per questa specie di guerriglia una banda varia e pittoresca di uomini di ogni arma ed età, a cui fu dato il nome di « Compagnia Esploratori della Morte ».
Poca disciplina formale, nessuna burocrazia, un’approssimativa gerarchia. Una squadra di sottufficiali poteva essere comandata da un soldato, il più ardito ed astuto. La compagine della banda era saldata unicamente dal fascino personale del
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