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xv

villotte — non proprio poesie di guerra, ma commosse notazioni in margine al gran libro della guerra — hanno accenti definitivi, perchè ispirate ad un tempo alle più immanenti tendenze del popolo nostro e a fatti largamente umani sentiti con vivace passione personale. Talora il poeta tocca qui a quella verità universale, che lo rende la voce di tutti noi che abbiamo dolorato e sofferto: voce elementare, ridotta alla pura nota umana ed eterna, come in Autùm, 27 di otùbar e Tornànd, dove è la guerra sentita dal cuore della campagna friulana alla vigilia di Caporetto, l’esodo doloroso dinanzi al nemico, l’accorato ritorno, fermati in poche note indimenticabili:


          Vin siarâd la néstre puàrte
          vin dâd jù bèn il saltèl,
          e si sin mitûds par strade,
          cui frutins a brazzecuèl.
          .   .   .   .   .   .   .   
          Fortunâds i muàrts sotiàre
          che àn finîd la lór stagiòn,
          che àn siarâd i vói ad òre
          e no san chèste passiòn!....