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come un edificio di buono stile che non sopporta intrusioni d’altra scuola.
Così il Carletti e quanti con lui (primo, intorno al 1880, Pietro Bonini) vollero uscire fra noi dal contenuto puramente popolaresco a più alte mire d’espressione, ebbero ed hanno a lottare con difficoltà gravissime di lessico: e non in tutto possono quindi dirsi riuscite le poesie che mirano a ciò: molte delle quali restano soltanto nobilissimi tentativi che contribuiranno a trarre il friulano verso più larghe possibilità.
Pure in queste nostre, accanto a componimenti di forme e d’imagini troppo colte (e talora le forme troppo colte sono dovute alla cerebralità della concezione, come in A l’òpare e in parte in Matine di cresime), altri ve nè in cui la fusione fra le due tendenze è completa, o quasi, come ne L’Ave, nella finale del Barcarùl, in quella di A Nusse, in qualche tratto di La gnòt di Nadàl, nel principio di Fumate: