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NOVELLE ROMENE | 37 |
gli urli del disgraziato di fuori, essendo tutto preso da ciò che vedeva. Zibal aveva seguito con voluttà tutte le contrazioni, tutte le increspature strane delle dita, poi l’intirizzimento che s’impadroniva di loro, lentamente, uno ad uno... sembravano essere le membra di un insetto, che si contraggano e si stendano, si agitino in movimenti stravaganti, forti, più lenti, lenti e poi si paralizzino, per il gioco di un bambino crudele.
Era sfinito, la mano si coceva e si gonfiava piano piano, senza alcun moto.
Sura mandò un grido.
«Leiba!»
Zibal le fece segno di non disturbarlo. Un odore grasso di carne bruciata si spandeva nell’androne; si sentì uno scricchiolio e dei piccoli scoppiettii.
«Leiba! che cosa è?» ripetè la donna.
Albeggiava. — Il portone si aprì sbattendo contro il muro e trascinando il corpo di Giorgio appeso al braccio destro. La folla di contadini, tutti coi ceri di Pasqua accesi, si precipitò dentro.
«Che cosa è? Che cosa?».
Subito capirono ciò che era accaduto. Zibal, che fino a questo momento stava immobile, si alzò gra-