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NOVELLE ROMENE | 117 |
che mi legarono e mi portarono in un monastero sulla montagna: quaranta giorni di quaresima e preghiere. Uscii di là pentito: mi fidanzai e feci il matrimonio.
Solo più tardi, una notte serena d’inverno, mentre discorrevo col mio suocero, con un boccale di vino dinanzi, come si usa in campagna, sapemmo da una guardia campestre che verso la mattina vi era stato un grande incendio ad Haculesti, le fiamme avevano consumato fino a terra l’osteria di Manjoala, seppellendo la povera signora Marghioala, già vecchia, sotto un mucchio di brace.
— Finalmente l’hanno messa sulla brace quella strega; disse ridendo mio suocero.
E mi fece narrare di nuovo la storia di cui sopra, per non so la quantesima volta.
Il Colonnello sosteneva continuamente che nel fondo del berrettone mi era stato messo un filtro e che il gatto e il capretto erano la stessa cosa...
— Ma che! gli dissi io.
— Era il diavolo, credi a me.
— Può essere, gli risposi io, ma se è così, signor mio, allora sembra che il diavolo ti conduca anche al bene...