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Non gli era mai capitata la fortuna di vendere qualcuna di quelle sue cosucce alla casa del Re. Dalla contentezza non stava nei panni, e montava gli scalini a quattro a quattro. Arrivato all’ultimo pianerottolo, inciampa e casca quant’era lungo. Il gattino andò in pezzi.

La Reginotta, ch’era corsa all’uscio, cominciò a strillare:

— Voglio il gattino! Voglio il gattino!

— Reginotta, non è niente; ne farò un altro.

— No! No! Voglio questo qui!

— Se avessi un po’ di colla, lo incollerei. —

Non aveva ancora finito di parlare, che i pezzetti si movevano, si ricercavano tra loro e s’incollavano da sè; e già il gattino crollava la testa e pareva contento di quella prodezza. Il figurinaio era più sbalordito degli altri. Quasi quasi avrebbe voluto riportarselo via; quel gattino portentoso forse sarebbe stato la sua fortuna. Ma col Re non si scherzava; bisognava venderlo per forza.

— Quanto ne vuoi? — domandò il Re.

— Faccia Vostra Maestà; il gattino non ha prezzo. —

Il Re gli diede una moneta d’oro.