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glia attanagliava; e, dopo un pezzetto, strilli e pianti.

— Abbiamo fame! Abbiamo fame! —

Il Re corse ad aprire; gli arnesi stavano al loro posto per terra, dove li avevano buttati alla rinfusa. Appena richiuso l’uscio, rumore daccapo, strilli e pianti:

— Abbiamo fame! Abbiamo fame! —

Per quella notte il Re non poté dormire neppure un minuto.

La sera appresso fu peggio. Il Ministro disse:

— Maestà, proviamo a dar loro da mangiare. —

La sega segava, la pialla piallava, il martello martellava, il succhiello succhiellava, la tanaglia attanagliava.

— Chetatevi, in nome di Dio! Ecco qui da sfamarvi. —

E chiusero l’uscio. Ed ecco, acciottolìo di piatti, tintinnìo di bicchieri, rumore di argenteria e di coltelli smossi, quasi lì dentro stessero ad apparecchiare una gran tavola; e poi, risa e strilli:

— Tu mi conci! Tu mi strappi! Tu mi inzuppi. —

Un portento.