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la festa di tre mesi fa, come se fosse stata davvero una festa data per me...

— Per chi dunque? — domandò la signora Teresa, fulminando la figlia col suo terribile sguardo.

— Non lo so!... Non vo’ saperlo...

Giacinta portò le mani alla faccia, singhiozzante, intanto che sua madre non rinveniva dalla sorpresa di quella resistenza affatto incredibile per lei; e la guardava muta, e le pinne del naso le si sollevavano nervosamente, ad ogni contrazione delle labbra fatta per contenersi.

— Tu sei ancora malata — disse, dopo alcuni istanti di silenzio. — Me ne accorgo. Questa mattina avresti fatto meglio a rimanertene a letto.

— No, mamma, sto bene... Ma tu hai ragione di dire così; è meglio spiegarsi. Sappi dunque che alla mia situazione, al mio avvenire ci ho pensato lungamente. Son cresciuta fin oggi quasi abbandonata a me stessa; lasciami continuare così. Non dubitare, non avrai noie per cagion mia. Le mie idee non sono assurde, vedrai... Ma lasciami libera, assolutamente, te ne prego!... In ogni caso, dovrò prendermela soltanto con me.

Aveva parlato a scatti, quasi facesse uno sforzo per frenar le parole, tenendo bassa la testa, con gli occhi fissi al pavimento, stirando qua e là convulsamente le pieghe sul davanti del vestito; e la signora Marulli seguiva macchinalmente con lo sguardo quel significativo arrabbattarsi delle mani di sua figlia, intanto che ogni parola di essa le martellava sul cuore; poi si rizzò, dominandosi a stento.

— Per ora in casa comando io! — disse con la voce turbata — Che t’immagini?... Che ti si è dato a