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sappi che è frutto delle economie di parecchi anni; alcune, le più grosse, sono un credito sull’avvenire... Siamo costrette a farle, per l’apparenza...

— Insomma, che cosa vuoi dirmi? — interruppe Giacinta spazientita.

— Voglio dirti — e lasciava cadere le parole lentamente — che da ora in poi tu devi pensare al posto da farti nella società...

— Va bene; ci penserò...

La sua voce s’era a un tratto turbata. Mentre la madre parlava con gli occhi fissi al tagliacarte preso in mano e che voltava e rivoltava, Giacinta non aveva cessato di guardarla in viso. C’era un che di volpino in quegli occhi piccoli e vivacissimi, in quella fronte piatta con la pelle lucida, tirata, e le sopracciglia sottili, in quel naso profilato, cartilaginoso, colle pinne che si gonfiavano, a certi movimenti di quella bocca diritta, dalle labbra fine, con le pozzette ai lati su cui la peluria, più addensata, metteva una piccante sfumatura di virilità!... Giacinta sentiva rimescolarsi in fondo al cuore la sua indignazione di tant’anni.

— Parecchi giovani ti sono già attorno — riprese la Marulli, severa. — Tu intanto...

— Li lascerò fare.

A questa brusca interruzione la signora Teresa alzò la testa, come se le avessero dato una puntura alla schiena. Giacinta si levò da sedere.

— Senti, mamma! — disse — Hai ragione; non sono più una bambina: devo pensare alla mia sorte, e ci penserò; lasciami fare. C’è un destino per tutti. Vo’ andargli incontro sbadatamente. Che te ne importa? Con te sarò sempre buona... Mi presterò a tutto... Hai veduto?... Mi son prestata per