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in sala sempre al braccio del Mochi, era un po’ rannuvolata. Infatti non ballò più.

— Grazie — disse al Ratti che la invitava ad una polka. — Sono stanca. Ho ballato anche troppo; son convalescente. Mi scusi.

IX.

Giacinta scriveva. Vedendo entrare sua madre, fece atto di levarsi dal tavolino; ma questa le accennò di non muoversi e andò a sedersi sulla poltroncina accosto.

— Dobbiamo un po’ ragionare insieme.

Insospettita di quell’aria benevola, di quella dolcezza di voce, Giacinta si volse con tutto il suo corpo verso sua madre, strizzando gli occhi e le labbra, tra curiosa e diffidente.

— Tu non sei più una bambina — prese a dire la signora Marulli. — Hai già messo allegramente il tuo piedino nella società. Ma se ti figuri ch’essa sia sempre quale appare in un salotto, in una festa, dove tutti sorridono, si divertono e scambiano strette di mano...

Giacinta accennò negativamente col capo, ma sua madre non se n’accorse.

— T’inganni — continuò. — Il mondo è un castello da espugnare. La forza qualche volta riesce: l’arte e l’avvedutezza quasi sempre... Noi non siamo ricche — soggiunse dopo una piccola pausa.

Giacinta la fissò, sorpresa.

— Non siamo ricche — ripetè la signora Marulli, che aveva capito. — Se possiamo fare certe spese...