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del ritornello, correva attorno un mormorio di entusiasmo represso.

Gina, presa la mano di Giacinta, gliela stringeva forte nei passaggi più belli, quasi stesse per isvenirsi.

— Canta meglio del solito questa sera! — le diceva sotto voce.

Quella sera Gerace aveva anche una singolare maniera di lanciar le note verso Giacinta; ed essa, che se n’era accorta, se le sentiva aggirare attorno alla persona, posar sulla fronte, strisciar lievemente sulle guance e sul collo, solleticanti; e aggrottava le sopracciglia, e si chinava inavvertitamente verso di lui, attratta da quella strana sensazione così nuova per lei. Quando alla fine scoppiaron gli applausi, le parve di destarsi da un sogno.

— Quella musica era durata un’eternità?... Un minuto secondo?

Non sapeva rendersene conto.

Gerace le si era avvicinato per ringraziarla degli applausi.

— Son io che debbo ringraziar lei — rispose. — Che musica! Mi è parso quasi di veder Napoli e il suo golfo, che, forse, in realtà non vedrò mai.

— Ti diverti dunque, malatina? — venne a dirle Mochi in quel punto.

La sorvegliava, inquieto, da un pezzo; e le porse il braccio, mentre Giacinta rispondeva:

— Non è difficile, a quel che pare.

Vedendoli passare tra la folla degli invitati, la Maiocchi ammiccò alla signora Villa seduta dirimpetto. L’assiduità del Mochi attorno di Giacinta cominciava a dar nell’occhio:

— Quel vecchio dissoluto era capace di tutto!

La signora Maiocchi notò che Giacinta, tornando