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do, nello spazio; il volto e tutta la persona prendevano a poco a poco una certa rigidità, e due lagrime scendevano finalmente a rigarle le guance smorte...

— Ma che vuol dire?... Che cosa hai? — domandava, un po’ contrariato.

Allora Giacinta diventava subitamente rossa in viso.

— Scusi... Oh! Non è nulla! — balbettava. — Un po’ di debolezza... Nient’altro.

Marietta accorreva, spaventata, indovinando quali ricordi assalissero la sua padroncina in quel punto:

— Signorina!

La rimproverava, più che con la voce, con gli occhi.

— No — le disse un giorno Mochi. — Non è così che si guarisce, stando tutta la giornata inchiodata lì... Su, su; ecco il braccio. Facciamo due passi per la stanza.

Le aveva già strappata la coperta di sopra i ginocchi e la tirava su per le mani. A quella dolce violenza Giacinta sorrideva, serrandosi meglio dentro lo scialletto, aggravandosi sul braccio di lui.

— Ecco; lo vedi che ti reggi benissimo?... Vuoi riposarti?

— Più in là.

Si era fermata presso la finestra che guardava sul giardino. Tutto quel verde inondato di sole le pareva una festa. Le casette lì in fondo, con le vetrate spalancate e quei vasi da fiori sui davanzali, sorridevano tranquille. E guardava intenerita i due piccioni che facevano delle volatine su pei tetti, da un comignolo all’altro, o si nettavano col becco le piume del collo.