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— Già la colpa è anche mia! — disse. — Se io non le avessi spiegato...

Le rannodò alla meglio i capelli disciolti, finì di spogliarla, aggiustò bene le coperte, ravviò un po’ la stanza, e con la candela in mano, tornò presso il letto:

— Mi lasci dormire qui, sul canapè — insisteva.

— Grazie; non occorre.

Marietta, appena in camera sua, lasciò cadere tutte ad una volta le sottane per terra, entrò d’un salto sotto le coltri e spense il lume.

— Povera signorina! — pensava. — Ma se noi, povera gente, ci si dovesse disperare per così poco!... Almeno io avevo ragione... Ci andava di mezzo una creaturina innocente... Quelli sì furono guai!... Povera signorina! Ha ragione anche lei.

Si era voltata e rivoltata più volte da un fianco all’altro; poi non si mosse più. Russava leggiermente.

VII.

Il dottor Balbi, chiamato in fretta il giorno dopo, si era subito impensierito del carattere violento della febbre di Giacinta. E cominciò quasi a disperare della guarigione quando, due giorni appresso, il tifo manifestò tutti i suoi tristi caratteri.

— Veda... Veda! — diceva alla signora Marulli col suo solito intercalare. — Il cervello è fortemente commosso; il sistema nervoso in uno stato di esaltazione incredibile... Veda... Dev’esserci stata una causa... intendo... immediata. Qualche forte dispiacere... Veda.